Intervista ad Alice Carli
In un mondo in continua evoluzione, come definirebbe l’innovazione oggi, dal punto di vista di un manager? Cosa vuol dire essere un manager innovativo oggi?
Alice Carli: Nello scenario attuale, che oltre ad essere in continua evoluzione è fortemente competitivo ed aggressivo, per essere innovativi credo sia fondamentale avere una managerialità solida, analitica, aperta e predisposta al cambiamento, che non abbia resistenze, creativa in termini di pensiero, di gestione progettuale e di persone. Essere curiosi, non aver paura di non essere convenzionali, conoscere i mercati, quindi non certo solo l’industria per cui si lavora perché se si vuol fare qualcosa di diverso bisognerebbe avere una visione più completa anche di altre industrie. Ricordiamoci che oggi tecnicamente si lavora su ecosistemi, che quindi spesso vedono co-creazioni di brand anche differenti, che si completano.
A livello strategico e manageriale, oltre quanto già detto, sicuramente serve una solida conoscenza del terreno di gioco in cui si è, una forte intuizione e la capacità di rischiare. Innovare significa evolvere, cambiare, solitamente si tende a ripetere il format precedentemente usato perché ha funzionato. In realtà c’è chi ci ha insegnato che l’innovazione è proprio il contrario, avere un senso di autocritica che ci permetta di capire che gli strumenti, le leve e le idee usate sinora hanno funzionato bene ma per definizione non potranno essere necessariamente le medesime ad innovare in futuro.
Vedo grande paura e un grande essere autoreferenziali quando in realtà credo che momenti come questo, proprio perché pieni di difficoltà possano essere di ispirazione per “guardare oltre, fuori”, rimettersi in gioco e ripensare a come muoversi a nuovi modelli. “Let go to get going”!
Parliamo di lei: quali sono i tre aggettivi che più rispecchiano il suo ruolo di manager?
Visione, pensiero creativo e determinazione o adattabilità, le ultime due se la giocano. Sulla tipologia di leadership preferirei che ne parlassero i Managers con cui ho collaborato e con cui lavoro attualmente.
L’inclusività è diventata sempre più importante nelle organizzazioni. Cosa significa per lei l’inclusività e perché nel 2023 parlarne le sembra fuori luogo, considerando che già quando era in Furla erano presenti 14 nazionalità diverse?
Non vorrei essere fraintesa. È un po’ come quando mi hanno chiesto perche trovavo anacronistico parlare di parità fra uomini e donne etc. nel 2023. Se da un lato è un dato di fatto, un’evidenza che vi siano ancora parecchi pregiudizi per molti, invece per me come persona e come manager non ci sono mai stati motivi per dover incasellare un essere umano in una casella e un altro in un’altra. Innovare per me era questo, era più di 12 anni fa, gestire 14 nazionalità diverse in uno stesso team, peraltro composto da età e generi differenti. Questo creava un melting pot di condivisione di culture e di punti di vista che necessariamente avrebbero dato valore aggiunto, all’epoca. Sicuramente di impegnativa gestione ma di grande esperienza per tutti. Oggi per me è un dato di fatto. Oggi per il mercato è inclusività. È un vanto per chi lo fa, oggi? Per me è sempre stato umanamente ovvio e managerialmente strategico. Non visionario. Normale.
Si è parlato anche di “presa di coscienza”, che a volte manca. Potrebbe condividere come questa presa di coscienza ha influenzato le sue decisioni e il suo approccio al lavoro?
La presa di coscienza è segno di autocritica, di saper ascoltare punti di vista diversi dal tuo, critiche di terzi. Ma anche accettare di aver performato, o di aver fatto bene. Troppe convinzioni, troppe sicurezze portano a mantenere lo status quo invariato, che in alcuni casi è corretto, in altri magari no. Ma anche viceversa, troppe insicurezze sono sbagliate. Per me la presa di coscienza è un flusso in divenire da quando ho iniziato il percorso professionale. Come tutti quelli che non sono quasi mai contenti del proprio operato è sempre difficile essere oggettivi nel giudizio e nella valutazione. Certamente, tipico di un profilo così, ad esempio, la migliore presa di coscienza è stata rimettermi in gioco a 39 anni per un MBA ad Harvard BS online. Mi sono rimessa alla prova. Una volta finito quel percorso, o meglio ricevuto il certificato, credo di esser stata consapevole per 24h, poi pensavo già al passo successivo. E questo ha influenzato tutto il mio percorso sinora ma son certa lo farà felicemente fino all’ultimo giorno come se fosse il primo; ho sempre visto grandi opportunità nel lavorare con Leader di grandi aspettative, visionari e fortemente demanding, per me è solo fonte di ispirazione per fare meglio e stimolo ad acquisire, ad imparare. Questo processo, per quanto il DNA di ognuno di noi resti più o meno simile, se ci si lavora a livello di leadership, cosa che ho fatto anche con un coach americano per più di un anno, può essere migliorato. Io ho un profilo che ama le sfide, che alza sempre l’asticella dei propri traguardi, ma negli anni ho imparato a essere più realistica ed oggettiva, consapevole dei propri punti di forza e di quelli su cui lavorare.
Oggi esistono criticità a livello manageriale. Non si prendono decisioni perché queste comportano un rischio: se non rischia, non si può innovare. Potrebbe approfondire questa questione e spiegarci come gestisce il bilancio tra la gestione del rischio e l’innovazione nella sua posizione di manager?
Il rischio deve sempre essere misurato, o meglio il suo impatto dovrebbe sempre essere considerato ma di certo non percepito come barriera od ostacolo per non progettare innovazioni.
Se si continua a ripetere modelli altrui si resta followers. Se si rischia, sulla base di vari elementi, si innova e se si è anche primi a farlo, allora si innova in modo dirompente diventando leader.
Quando nacque il fenomeno e la tendenza dei blogger e vi fu la stampa aggredita dal mercato delle prime testate internazionali online, dei blogger o dell’e-commerce, parliamo dei primi del 2000, in Italia ci fu una resistenza enorme, anche perché si iniziò a prevedere quello che poi accadde con la Pandemia, che ribaltò tutti i paradigmi. Circa nel 2012 chiesi, con Furla, a Chiara Ferragni di fare una collaborazione per il lancio delle Candy Bag, che ebbe un successo incredibile, ma solo dopo aver dovuto tentare di convincere il top management che sarebbe stata la scelta giusta. Nonostante fosse non convenzionale, in Italia soprattutto ancora un fenomeno agli albori, sicuramente Chiara come personaggio, fortemente autentico, avvalorò la scelta, ma ricordo le lunghe riunioni in cui sembrava che il modello di progetto fosse totalmente nuovo (“troppo d’avanguardia, chi lo capisce”), per un “mercato che ancora non era pronto”. Bene io ringrazio nuovamente Chiara e l’Azienda che alla fine cedette (e ne fu felice), ma soprattutto il coraggio mio e del team che gestivo di decidere per una strada diversa da quelle consuete, figlio anche proprio di quel melting pot che vedeva cosa stava accadendo in tutto il mondo, e quindi mi limitava la percentuale di rischio nel prendere la decisione.
Un altro esempio che mi è stato più volte riconosciuto, e che d’altronde riconosco anch’io, è quello del lancio di posizionamento di GAIT-TECH S.r.l., startup di un device di bio-meccanica per la salute di chi indossa tacchi alti. Proposi, in qualità di Direttore Generale, il lancio al CES di Las Vegas, nessuno lo conosceva. Ed i Fondatori e gli investitori capirono che la mia intenzione era seria e strutturata, che non era un’opzione alle solite sfilate di Milano o alle fiere della moda, bensì un progetto totalmente dirompente, fuori da ogni minima convenzione ma in linea con il posizionamento innovativo del progetto: si convinsero. D’altronde bisogna avere coerenza: come si poteva lanciare un progetto davvero innovativo con un format convenzionale come quello della presentazione durante la settimana della moda? Da manager non è facile essere determinati e rischiare da soli ma ero certa, ovviamente dopo dovute verifiche fatte con visionari ed analisti di mercati, che sarebbe stato un successo. Ebbene, il nostro progetto non solo finì nei primi 300 su più di 4.000 progetti presentati ma si distinse proprio perché era stato il primo progetto legato al benessere della moda in un contesto come il palcoscenico di innovazione tecnologica e I.A. di Las Vegas, dove però poi le luci della moda e del beauty si accesero fortemente tanto da chiamare il CEO di L’Oréal Paris per inaugurare l’edizione del 2024. Due anni dopo la presentazione fatta nell’ estate del 2022 in GAIT-TECH Srl ai Fondatori.
Il rischio premia quando bilanciato da innovazione, confermata da studio di anni di esempi simili. E di nuovo, curiosità e studiare, analizzare, guardare oltre e altro.
Le sue basi culturali e il percorso personale sono stati importanti nella sua crescita come manager? Come ha imparato le competenze manageriali, considerando che proviene da una famiglia con background in preponderanza di medicina/biologia?
Se è per questo non ho grande somiglianza con i miei genitori, da cui però ho sicuramente appreso quattro fondamentali: l’amore per il viaggio, per la creatività e lo sport. La passione per la lettura, nel mio caso di personaggi, di ogni genere, che hanno storie di leadership differenti, cadute e rialzate importanti. Personaggi che hanno fatto la storia, che ci hanno provato ma hanno fallito. Personaggi guidati da passione, da coraggio, storie da leggere e da cui imparare. Ho avuto certamente altri modelli di riferimento con il fuoco negli occhi, molti anni piu di me e tanta esperienza e le competenze manageriali da divulgarmi, questo è evidente, me le sono cercate, sempre. E sono diventate negli anni amicizie che tuttora coltivo, perché è anche grazie alla loro saggezza, che so di non essere sola in un mare di squali sorridenti, so di avere loro che mi guardano mentre “sto giocando” ma soprattutto so che non mi impedirebbero di sbagliare, ma mi darebbero gli strumenti per rialzarmi e riflettere.